Cosa farai da grande? Super e la teoria vocazionale
E' da sempre una delle domande della vita. Ho conosciuto persone che avevano già la risposta alle medie, e altre che non la trovano mai (io appartengo alla seconda categoria).
Per quelli come me, l'assenza di una risposta definitiva è tuttavia un ottimo spunto di ricerca, per approfondire chi siamo, e ri-conoscerci continuamente, nelle varie fasi della nostra vita.
I servizi di orientamento e di consulenza per l'orientamento (counseling) sono nati nei primi anni del secolo scorso, ma è tra il 1957 e il 1969 che Donald Super elaborò l'interessante “Teoria dello sviluppo vocazionale”.
Prima della teoria vocazionale l’orientamento era basato principalmente sulla psicodiagnostica (tramite l’utilizzo di test), i cui risultati indicavano il percorso scolastico o professionale da intraprendere. Questa attività (tratto-fattore), perseguiva l’obiettivo di collocare “la persona giusta al posto giusto” e si basava sulla psicofisiologia (secondo cui è possibile ottenere coincidenza tra le attitudini dell’individuo e i requisiti professionali).
Successivamente, diverse ricerche, di approccio evolutivo, produssero risultati che permisero di avanzare critiche a tali procedure, comportando un graduale rifiuto del loro utilizzo, soprattutto in campo educativo. L’orientamento cominciò ad essere considerato un processo in evoluzione, composto da fasi in sequenza, e l’individuo venne considerato come protagonista attivo nel proprio processo decisionale.
Si entrò così nella fase centrata sulla persona, (Rogers) che perseguiva l’obiettivo dell’autonomia da parte del soggetto e della sua piena maturazione, grazie eventualmente anche al clima di fiducia creato dal counselor.
Secondo la Teoria Vocazionale di Super, il processo è continuo (poiché accompagna l’intera vita della persona) e irreversibile (va dalla dipendenza all’autonomia): la vita è composta da stadi, divisi da periodi di transizione (fase di riorganizzazione psicologica che il soggetto affronta sul piano individuale in modo da fronteggiare gli eventi critici).
Super considera le due variabili personali della perceived self-efficacy (auto-efficacia percepita, la percezione che l’individuo ha delle proprie competenze nell’ambiente in cui vive, la convinzione di efficacia, fattore essenziale per affrontare con successo qualsiasi compito decisionale, senza la quale vulnerabilità, ansia o distorsioni negative possono minare il successo delle prestazioni) e il locus of control (la modalità di interpretazione soggettiva degli eventi che possono essere intesi come causati da un “locus of control interno”, quando si ha la convinzione che gli accadimenti dipendono dal soggetto in questione, o da un “locus of control esterno” quando successi o fallimenti sono valutati come effetti dell’ambiente e della società in cui il soggetto vive).
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Il colloquio vocazionale ha l’obiettivo di far maturare nell’individuo le sue scelte, all’interno di un processo evolutivo di cinque stadi di sviluppo. Ogni stadio è caratterizzato da compiti specifici che l’individuo deve superare per arrivare alla completa maturità vocazionale. Gli stadi sono la crescita, l’esplorazione, la stabilizzazione, il mantenimento ed il declino.
Il counselor deve promuovere la consapevolezza di sé e facilitare i processi di scelta nei momenti di transizione, facilitando negli utenti la presa di coscienza delle proprie strutture cognitive e interpersonali costruite nei periodi precedenti, per riuscire ad influenzare il loro successivo sviluppo.
Super critica l’approccio tratti e fattori, perché riscontra la presenza di molteplici tratti e fattori: la sfera emotiva e sessuale, l’inconscio, la vita familiare, il contesto, l’infanzia, ecc..., comportano vari ruoli (life roles) che l’individuo deve vivere, e che condizionano la sua idea di carriera e il relativo investimento in essa.
L’orientamento viene inteso, quindi, non solo in relazione alle scelte professionali, ma anche nell’ambito dei processi decisionali relativi alla società, alla scuola e alla famiglia. Nell’intera vita, l’individuo deve sapersi orientare in maniera autonoma, ma sempre sostenuto in un clima di “piccolo gruppo”.
Il consulente non è un esperto, ma un ascoltatore attivo, e orientare significa rimettere in gioco il cliente, promuovendo il suo senso di potere (empowerment) e garantendo le condizioni per affrontare le transizioni della sua vita.
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