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Sostenibilità per uscire dalla crisi

Valerio Tavolazzi


Sono ormai passati 7 anni da quando è iniziata la crisi economico/finanziaria che tutti stiamo ancora affrontando. Alcuni sostengono che sia finita, altri che la fine sia ancora lontana.

Il tema della sostenibilità aziendale nasce in un momento storico in cui l’economia dei paesi industrializzati andava a gonfie vele. Il grasso colava. La concorrenza aumentava in tutti i settori e la necessità di differenziarsi rispetto ai concorrenti, anche per migliorare l’immagine aziendale nei confronti del mercato, era forte.

Ma oggi? L’impresa ha interesse economico, oltre che etico, ad attuare politiche sostenibili, anche in questo periodo critico? Qual è l’impatto delle politiche di sostenibilità sulla creazione di valore economico?

A febbraio di quest’anno sono 187,3 i miliardi di euro che non saranno riscossi dalla banche perché le imprese o le famiglie debitrici si trovano in uno stato d’insolvenza. Equivalgono al 10% del PIL del nostro paese. Il Cerved, l’osservatorio sui fallimenti, ha calcolato che, dal 2008 oltre 82 mila imprese (equivalente a circa un milione di persone impiegate), sono fallite.

Non proprio dei dati confortanti.

Il concetto di sostenibilità nasce nel lontano 1972, quando la prima conferenza indetta dall'ONU riguardo a tale questione (la "Conferenza sull'Ambiente Umano"), che si tenne a Stoccolma, segnò l'inizio della cooperazione internazionale in politiche e strategie per lo sviluppo ambientale.

La definizione di sostenibilità deriva dal Rapporto Brundtland del 1987 che definisce lo sviluppo sostenibile come "uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri ".

Un’impresa è sostenibile quando riesce a creare valore di tipo economico, valore per gli aspetti sociali e a migliorare gli impatti ambientali, allo stesso tempo. Crea, cioè, valore condiviso (“shared value”) con gli stakeholder interni ed esterni (portatori d’interesse in senso lato, come personale interno, clienti, fornitori, soggetti pubblici, comunità allargata..).

Caratteristica imprescindibile per una politica sostenibile è la trasparenza dei dati e delle informazioni aziendali e la comunicazione degli stessi all’esterno. Negli ultimi 15 anni c’è stata una grande evoluzione in questo ambito e una percentuale significativa delle grandi imprese pubblica annualmente bilanci di sostenibilità o responsabilità sociale, analogamente al bilancio aziendale, in cui si rende conto esplicitamente delle attività e dei risultati e degli obiettivi futuri.

Se desiderate valutare la sostenibilità della vostra attività economica, potete registrarvi sul sito della Global Reporting Iniziative, che utilizza indici qualitativi e quantitativi per valutare la sostenibilità dell’impresa. Questi indicatori sono pubblicati e possono essere letti dagli stakeholder esterni, come gli investitori, per ottenere informazioni più complete per i loro investimenti.

Le politiche di sostenibilità implicano costi e investimenti che in tempo di crisi sono spesso i primi ad essere tagliati. Me ne accorgo nel mio lavoro quotidiano. Il più delle volte le aziende intraprendono percorsi per sviluppare sistemi di gestione ambientale, per la sicurezza o per la responsabilità sociale principalmente per motivi commerciali (migliorare il valore del marchio, aumentare la probabilità di aggiudicarsi gare, appalti o contratti..). In questi casi i sistemi implementati rimangono per lo più “di facciata”. Non vengono messe a disposizione adeguate risorse (soprattutto competenze) per ottenere reali vantaggi e creare valore condiviso.

I vantaggi per un’impresa davvero sostenibile possono, al contrario, essere diversi.

Innanzitutto è in grado di ridurre gli effetti negativi quando un rischio si verifica. La capacità di ridurre i rischi aziendali si riflette sul costo del capitale. Inoltre la sostenibilità ha effetti positivi sui costi di produzione (una campagna per risparmio di energia elettrica ha effetti benefici per l’ambiente e per il portafoglio), sul capitale sociale (migliora la produttività), sul valore del marchio e la reputazione (che a sua volta ha effetti positivi sulla fidelizzazione), sul sistema di relazioni con gli attori esterni, sulle vendite (il consumatore può premiare marchi sostenibili e preferirli ad altri prodotti, soprattutto in un’epoca in cui la sensibilità per questi temi aumenta sempre più, nonostante la crisi).

L’8 ottobre 2014 la Fondazione Centro Studi Enel, nell’ambito della seconda edizione del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale ha presentato, i risultati della ricerca “New Business Models. Shared value in the 21st century” sviluppata in collaborazione con The Economist Intelligence Unit. Lo studio riporta una crescita complessiva della percentuale di manager che legano le pratiche di sostenibilità ai risultati economico-finanziari. Le imprese che hanno investito sulla sostenibilità registrano minori rischi per gli anni a venire.

Vi lascio con un esempio virtuoso in tal senso.

Miroglio, uno dei maggiori gruppi tessili italiani, ha trasformato la Miroglio Textile, la più grande stamperia tessile d’Europa, in un "campione ecologico": l’investimento in nuove linee ha permesso la riduzione del consumo di acqua del 50% e dell’energia del 30%, con un abbattimento di quasi un terzo dell’anidride carbonica prodotta. Textile ha investito, negli ultimi anni, nell’innovazione tecnologica oltre 15 milioni di euro.

A voi la parola.

PS: nel link troverete alcune interessanti letture sul tema.

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