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Interventi di counseling in situazioni di burn out

Valerio Tavolazzi


Il termine burnout nasce negli anni Trenta, nel mondo dell’atletica sportiva, per designare il precoce esaurimento della carriera di brillanti atleti che dopo un inizio di successo terminavano la loro esperienza in breve tempo, con prestazioni al di sotto delle aspettative.

Negli anni Settanta il concetto prende piede negli Stati Uniti, in riferimento a calo del rendimento dovuto al venir meno di stimoli motivazionali.

Questa problematica è stata riscontrata inizialmente in professionisti che mantengono una relazione costante e diretta con altre persone, in particolare nel settore delle professioni di aiuto.

Alla base del burnout c’è lo stesso meccanismo che regola lo stress, ovvero l’eccesso di stimolazioni esterne, che incide negativamente sull’abilità adattiva della persona. A differenza dello stress (squilibrio fra risorse disponibili e richieste del mondo esterno) il burnout corrisponde ad un insuccesso all’adattamento, accompagnato a malfunzionamento cronico. E’ una malattia da “eccesso di impegno”.

L’operatore colpito da questa sindrome si convince di non poter colmare il divario fra ciò che ritiene che l’utente si aspetti e ciò che ritiene di poter offrire, evolvendo verso un progressivo esaurimento di energie che può comportare sintomi fisici (fatica, cefalea, disturbi cardiovascolari, gastrointestinali, insonnia), sintomi psicologici (senso di colpa, alterazioni dell’umore, scarsa fiducia in sé, irritabilità, scarsa empatia e capacità di ascolto), reazioni comportamentali (assenze e ritardi frequenti, tendenza ad evitare i contatti, scarsa creatività, ricorso a procedure standardizzate), cambiamento di atteggiamenti nei confronti degli utenti/clienti (chiusura difensiva al dialogo, cinismo, spersonalizzazione dei rapporti, distacco emotivo e indifferenza ai problemi dell’altro).

Il burnout può essere misurato utilizzando alcune scale. L’Organizational Check Up System (Maslach e Leiter, 1997) prevede anche una valutazione dei processi gestionali dedicati al controllo e alla prevenzione del fenomeno.

Un studio effettuato su strutture sanitarie piemontesi dal centro di formazione Schweitzer ha evidenziato come una mancanza di equità, opportunità di sviluppo e possibilità di cambiamento siano tra i fattori determinanti di stress che può essere gestito e abbattuto grazie ad azioni volte a migliorare la motivazione, la comunicazione e il senso di appartenenza (percorsi di formazione, di sviluppo e di carriera).

Esempi di counseling di gruppo si sono rivelati efficaci per il trattamento di professionisti soggetti a burnout: per esempio gruppi di incontro e di sostegno nell’ottica dell’autoaiuto, nei confronti di medici di medicina generale, per aiutarli ad acquisire nuove consapevolezze e intraprendere nuovi percorsi formativi in linea con la psicologia del positivo, modelli che hanno portato all’individuazione delle “caratteristiche delle persone vincenti”, alla scoperta della resilienza, alla definizione del senso di autoefficacia percepita, alla comprensione dell’intelligenza emotiva, dell’ottimismo, della creatività̀, dell’autostima, alla valorizzazione del libero flusso.

L’obiettivo di questi gruppi è creare le condizioni per sviluppare creatività̀ e sostegno, nell’ottica dell’autoaiuto a partire dal vissuto personale condiviso e rielaborato in gruppo con elementi formativi, come prevenzione primaria del burnout. Gli incontri hanno solitamente cadenza quindicinale, in un setting costante e protetto, con durata dell’incontro di circa un’ora e mezza. Le tecniche utilizzate, sotto la guida e la supervisione del counselor, possono essere quelle dell’ascolto attivo, del problem solving di gruppo, della comunicazione corporea e del lavoro psico-corporeo secondo l’ottica della Gestalt.

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